sabato 9 ottobre 2010

“Cacciari all’Auditorium della Provincia di Caserta”


“Cacciari all’Auditorium della Provincia di Caserta”

Tutto ciò che dico di Dio,
è un uomo che lo dice
”.
(Karl Barth, teologo)

Si è svolta ieri – otto ottobre 2010 A.D. -, all’Auditorium della Provincia di Caserta (Caserta, V. Ceccano), l’incontro di Cacciari e del professor Limone, presiedeva come moderatore il vescovo Pietro Farina, presente in sala il precedente vescovo, ora vescovo emerito, Raffaele Nogaro. Quest’ultimo ha fatto distribuire un documento da lui firmato, in cui si chiede di giustificare le spese ed anche lo scopo della missione in Afghanistàn, a fronte di continue perdite di vite umane: profetico, viste le notizie di oggi nove ottobre…
Ma torniamo a noi. Hanno presentato l’incontro, brevemente, don Nicola Lombardi, rettore del locale Istituto di Scienze Religiose, che ha ricordato come da ben dodici anni, ormai, si svolgano questi appuntamenti di Cacciari a Caserta. L’incontro, ed il tema, sono stati poi sinteticamente tratteggiati da don Luigi Nunziante, delle edizioni Saletta dell’Uva. Il tema è: relazioni fra teologia e politica, un tema vasto che i relatori non hanno potuto che tratteggiare per sommi capi, in ogni caso svolgendo discorsi interessanti.
Ha cominciato Limone, ordinario di filosofia del diritto alla locale Università casertana.

Limone ha sottolineato la necessità non di un pensiero debole, ma di un pensiero forte contro la volgarità del presente, nella situazione grama del presente. Ha poi rilevato più volte come le categorie giuridiche, di filosofia del diritto, non siano altro se non la trasposizione delle categorie teologiche: esse fondano la storia dell’Occidente, che piaccia o non. Per esempio, il tema della sovranità in Hobbes [1] è correlato a quello dell’“assolutezza” del sovrano, del suo essere “sciolto” – “ab-solutus” - dalle leggi che egli stesso formula, in questo ben diversamente dal Figlio del Cielo cinese, che inizia sì le leggi e le lascia al loro effetto, ma non è ad esse superiore, il che s’inserisce in una diversa teologia: l’Imperatore cinese, infatti, è Figlio del Cielo, non Cielo lui stesso… 
La riflessione di Limone si costruisce intorno all’Antico Testamento, ed al “comando” che lo costituisce. Il Dio dell’Antico Testamento comanda, ma presuppone la libertà: qui è la differenza fondante con il mondo islamico. Il comando, nell’Antico Testamento, si fa narrazione. A questa teologia politica, che ha le sue radici evidentemente nell’Antico Testamento, si son opposte le altre forme della teologia politica, quella del consenso, oggi dominante, oppure quella dei “diritti radicali”, che chiede allo stato, la cui dimensione di coercizione non può esser negata, di difenderci dallo stato stesso. Infine, la teologia politica radicale, ma in senso opposto, di Schmitt, che sostiene la dittatura come “sospensione” dello stato detto “di diritto”, stato di diritto basato sulla contraddizione di cui si è appena detto in breve. Limone fa poi riferimento al Grande Inquisitore, di Dostoevskij e Solovëv (Vladìmir Sergéevich), che si oppone alla radicale “falsificazione” che il Nuovo Testamento opera del Vecchio. La “falsificazione” – termine volutamente “forte” usato da Limone – è questa: che il Nuovo Testamento sostiene che solo nell’attenzione agli ultimi, ai marginali e senza voce, si ha possibilità vera di risolvere la contraddizione fondante la sovranità, in altre parole che colui il quale si trova nella parte dominante di un ordinamento teologicamente fondato non può sostenere di essere “per il tutto”, “per gli altri” e non solo “per sé”, senza cadere in contraddizione con se stesso. 
Ed allora Limone ha fatto riferimento all’“Angelus novus” di W. Benjamin, che parte dalle macerie che il “progresso” inevitabilmente lascia dietro di sé, le quantità di persone che il cambiamento incessante, sempre più vorticoso, ed oggi ne sappiamo ben qualcosa!, lascia di strada, ai margini. Ora, è l’Angelo che, con le sue ali, vuole raccogliere questi sempre più numerosi lasciati da canto, di lato, ai margini, frammentati e frammentari. E’ un’opera improba e il cui pieno successo è da escludere, ma consente di rimettere in circolo ciò ch’è stato lasciato da canto, in tal senso questo teologia politica è “neotestamentaria”, facendo riferimento alla radicale “falsificazione” che Gesù opera dei dati del Vecchio Testamento. 

L’intervento di Cacciari è partito da quello di Limone, però lumeggiandone talune parti ed enfatizzandone altre, fermo restando l’accordo fra i due sulla prospettiva “Angelus novusà la Walter Benjamin. Il Dio dell’Antico Testamento, comincia Cacciari, è Dio dell’esclusività e dell’Assolutezza, è “absolutus” nel senso latino di “sciolto”, in altre parole: Si assolve, scioglie Sé dal vincolo della Sua stessa Assolutezza. In tal senso, è quel Dio che Si manifesta e Si propende verso l’uomo, non è il Motore Immobile d’Aristotele, che ha sì un concetto di Dio molto simile al Cristianesimo, tuttavia differente su di un punto nodale: il Motore Immobile attrae a Sé, mentre il Dio degli Ebrei, il Dio d’Israele, d’Isacco e di Giacobbe si “protende” – tendersi “pro” = “a favore di” - verso l’umano. Ma in ciò stesso, in questo “venir fuori” da Sé, rinunciando, in nome dell’Assolutezza, alla sua Assolutezza ed accettando di “relativizzarsi” per avvicinarsi all’umano, vi è una contraddizione decisiva, eppur produttiva. Il paradosso del monoteismo sta qui, puntualizza Cacciari. 
Come spesso ha detto: la contraddizione non si deve cercare di risolverla “filosoficamente” edulcorandola, ma invece accettando la “polemica” – greco: “pòlemos”, battaglia – e l’agone – il confronto, ma pure la stessa radice di agonia – e renderla piuttosto feconda. Qui è il “dialogo” – dià-lògos – fra gli uomini ma, in primis, fra divino ed umano. I “Comandamenti”, ma è traduzione inesatta, giustamente osserva Cacciari: si tratta del “Decalogo”, i “Dèka Logoi”, i Dieci Discorsi di Dio all’uomo, è un discorso, è una conversazione, non è un comando in nessun modo. 
Qui vi è una radicale differenza fra Cristianesimo ed Ebraismo, da una parte, ed Islamismo dall’altra. Là Dio davvero “comanda” solo, il suo “statuto” giuridico-teologico di “deità” gli impedisce ogni vero confronto con l’umano. Ben “diversissimamentissimamente” – sgrammaticatura voluta… - stanno le cose nell’universo “giudeo-cristiano”, dove precisamente il “dialogo” è cercato, tutto incluso, “all inclusive”, per dirla con molta ironia, tradimento compreso nel pacchetto d’acquisto sin dall’inizio… 
In tal senso, il Dio ebraico è il Dio dell’Esodo e della libertà, ovvero della continua esegesi, radice simile con esodo, del continuo “venir fuori” del testo, tradimento interpretativo incluso nel pacchetto sin dall’inizio. 
Gesù poteva dir di no alla Croce, poteva scegliere diversamente? Teoricamente parlando, sì, poteva. In esegesi, aggiungerei io, la questione davvero è chiara: ad un certo punto era ormai chiaro che gli Ebrei non avrebbero mai dato il loro assenso a Gesù; certo era un taumaturgo, forse più di altri, ma solo quello poteva essere. In altre parole, era un “facitore di miracoli” ma non sarebbe mai e poi mai stato accettato come il Messia. E fu fatto capire a Gesù che, se avesse accettato questo ruolo, le cose alla fin fine si sarebbero rimesse a posto, sarebbe stato tollerato: è Gesù, invece, che cerca, da un certo momento in poi, ben compreso questo punto, cerca il confronto e lo trova, con il risultato che ben si conosce. Quindi fu chiaramente una scelta netta e chiara.
La fede è scelta, rileva Cacciari, nulla è mai certo o dato in assoluto. La fede è cura sì, ma mai sicurezza, men che meno sicumera, sempre chimerica. 
Ecco che giungiamo, dunque, alla definizione di “paganesimo”, e questa è una mia personale aggiunta. Non è pagano l’inserire delle cose delle precedenti tradizioni nella Chiesa cristiana: chi questo sostiene, chi vede in questo un mero “trucco” politico, non ha compreso nulla. In primo luogo, le tradizioni sono esseri viventi che si confrontano con gli ambienti circostanti e cercano sempre di usare il materiale esterno per il proprio edificio, come le chiese medioevali che usano le colonne del mondo precristiano greco-romano, e questo non è un male. In secondo luogo, vi sono delle costanti che non cambiano, come quei luoghi che passano di religione in religione, ma restano sempre “sacri” in qualche modo. No, tutto ciò non è per niente un “cedimento”, ma è proprio invece il senso di sicurezza della salvazione l’essenza stessa del “paganesimo”, il sentirsi “a posto”, perché – continua Cacciari – la fede non è mai “fondamento”, in questo citando Kierkegaard. Alla fede si è “appesi”, insegnava Kierkegaard, essa è scelta e rischio, salute ma non sicurezza, cura ma non stasi, non si è mai del tutto “a posto”, essa è dinamica insomma. Perché non annulla la contraddizione che muove il mondo, aggiunge chi scrive, ma la rende produttiva, feconda, positiva, ecco cosa fa davvero la fede. Ma questa è, di nuovo, un’aggiunta di chi scrive. 
Torniamo a Cacciari allora.
Dopo aver dimostrato l’esistenza di questa contraddizione, e che muove la Chiesa ed il Cristianesimo, sin nell’Antico Testamento [2], Cacciari passa alla riflessione trinitaria. Per lui, la Trinità è la risoluzione, l’unica possibile, della contraddizione tra l’Immanenza del negarsi di Dio nel mondo, e la Sua Trascendenza. La Trinità, per credenti e non, è il ripensamento della comune “ousìa”, sostanza, nella continua esegesi, che nasce dal desiderio di capirsi. La cosa, evidentemente, comporta un rischio sempre presente, ma la scelta contraria è l’annullamento della contraddizione, dunque – aggiungerei io – la fine della storia.
Questa teologia, nelle sue applicazioni politiche, va ripensata, ma in modo radicale, secondo Cacciari. Il rischio è, se questo non accade – ma non se ne vedono segni – che si vada verso il dominio del Grande Inquisitore, una sparizione totale delle differenze che genera un “mostro” [3], il famoso “bellum omnium contra omnes” di T. Hobbes, una competizione serrata e spietata d’individui per la spartizione delle prebende, nella piattezza e nell’uniformizzazione di un linguaggio unico. Tutto ridotto non certo all’Uno platonico, ma all’“Unum” neutro della cosa, di un sistema “macchinico”, “senza volto”, aggiungerei.

Veniamo ai commenti di chi scrive. Ciò che Cacciari presenta – eufemisticamente – come “rischio” in realtà non è altro se non il nostro presente. Uscendo dall’incontro dovevo venir fuori da Caserta, a parte che ormai lo spazio per parcheggiare la macchina si è ridotto ancora: ecco la “razionalità” tecno-scientifico-economica che stringe sempre più, come nodo scorsoio, il collo del mondo. Ed è inutile oggi persino iniziare “certi” discorsi in sede politica, perché le obiezioni, che pioveranno come le recenti piogge in Liguria o a Prato, son sempre le stesse: ma i conti, ma noi dobbiamo far quadrare il bilancio… Ormai, ed in ogni ambito, si è “istituzionalizzati”, che la nostra sia una stanzetta o una reggia, si è del tutto incapaci di vedere oltre le mura… Dunque, chi, oggi, davvero può accettare la radicalità del necessario ripensamento[4]? Se questo è il “tempo dell’Anticristo” non lo è certo per le sciocchezze di “Anticristo dittatore mondiale” cui pensano gli americani – che hanno ridotto al religione a marketing -, né per i disastri, indubbiamente tremendi, che costellano i nostri tempi senza stelle in cielo, ma è chiaro che le catastrofi cui potevano esser soggetti settecento milioni di uomini non sono come quelle cui possono essere soggetti sette miliardi d’individui. Difatti, il cambiamento quantitativo, se va oltre una certa soglia, diventa qualitativo: sono i “passaggi di stato”, come dal solido al liquido: ed in un mondo “illiquidito” e “liquidato” viviamo noi ormai. No, è il “tempo dell’Anticristo” perché tutte le difese son saltate, perché non vi è più nessun argine, per questo lo è.
Venendo fuori da Caserta con la macchina, il solito traffico mi blocca. Sono solo nella macchina, mentre le ombre si allungano. Ognuno fugge scappando, preda dei suoi problemi. La folla è indifferente a tutto, le luci della città ne mascherano la profonda oscurità. Il vento è più fresco, dopo una lunga coda d’estate perenne si annuncia un cambio di stagione. E’ come un’aria da fine degli imperi…

Note

[1] Cfr. Hobbes, Leviatano, Classici del pensiero Mondadori 2008, Parte terza, “Lo Stato cristiano”, interessante.
[2] In tal senso, per Cacciari è giusta, ma dai toni eccessivi, la polemica con lo gnosticismo dei primi secoli del Cristianesimo, perché il movimento “gnosticista”, in realtà un insieme molto variegato e contraddittorio, aveva però come punto “collante” comune la separazione del Vecchio dal Nuovo Testamento. Al contrario, molte cose del Nuovo Testamento hanno la loro radice nel Vecchio, solo che ne sono una “lettura” da una diversa – e nuova – angolazione.
[3] “Il sogno, non il sonno, della ragione genera mostri”, ama dire chi scrive qui... 
[4] Ricordo quella leggenda dei Pirenei. Vi è un anfiteatro dove sono sepolti tre cavalieri templari. Essi si risvegliano in occasione della fine del loro Ordine, ogni anno, quando una voce dal cielo dice: “Chi difenderà il Santo Sepolcro?”. Ed allora, essi improvvisamente si rianimano e saltan su, rispondendo in coro: “Nessuno. Nessuno. Nessuno”…

Approfondimenti
 

Su Venezia: http://lacittadelsale.blogspot.com/2010/09/un-cinese-venezia.html
 

Sulla figura del Grande Inquisitore (in inglese), Vladìmir S. Soloviev:  
http://www.goodcatholicbooks.org/antichrist.html 
La fonte è quest’opera di detto autore: Tre Conversazioni, 1900.
“L’Anticristo di Soloviev è un antagonista di Gesù Cristo (…). Non si presenta affatto come un tiranno vizioso, o come un ecclesiastico corrotto, secondo le rappresentazioni tradizionali dell’immaginario collettivo. Egli è una luce falsa che pretende d’illuminare e di attirare. E’ un quadro falso che sembra più vero di quello autentico. Potremmo definire l’Anticristo del grande pensatore russo come il capolavoro del Falsario” (Padre L. Fanzaga, Profezie sull’Anticristo, SugarCo 2007, p. 153).
 

Berdjaev, che ha riflettuto molto sul senso teologico della Rivoluzione Russa, qualche sua frase: 
http://it.wikiquote.org/wiki/Nikolaj_Aleksandrovi%C4%8D_Berdjaev 
[NB Sia questo link che il precedente sono stati modificati, inq uanto i link del 2007 non risultavano più funzionanti]
Il sito contiene un’immagine dai “Detti e Fatti dell’Anticristo”, il dipinto di Luca Signorelli nella Cappella di San Brizio nello splendido Duomo di Orvieto. Precisamente, è l’immagine del diavolo che insuffla la sua parola nell’orecchio dell’Anticristo, che sembra Cristo esattamente, però ha uno sguardo scaltro. Sono “Le parole che daranno inizio all’esplosione del mondo”... 


  S. Maria Assunta, Torcello, affresco. A destra,
secondo piano a salire, uomo barbuto.
In realtà si tratta del diavolo - Satana - che
tiene in braccio l’Anticristo. Che io sappia,
è l’unico affresco con l’Anticristo piccolo... 
Fonte:  
Venezia, Touring Club Editore, 1978

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